Negli anni 80 la globalizzazione compiva i primi passi, nel progetto
finale dovevano scomparire le frontiere permettendo la miscelazione di
attività multinazionali. Fu Theodore Lewitt, ad annunciare nel 1983 che
“la globalizzazione è a portata di mano” facendo evolvere ulteriormente
il concetto di “villaggio globale” teorizzato 15 anni prima da McLuhan.
Ma a chi giova avere le frontiere aperte e libere, se non alle
multinazionali con l'obiettivo di arricchirsi sempre di più, ignorando
le macerie che lasciano dietro di loro con la complicità dei governanti.
Il muro di Berlino, ultimo baluardo contro il capitalismo, causò con la
sua caduta l'apertura della porta alle multinazionali per poter entrare
nel mondo capitalistico mondiale. La globalizzazione ha portato le
multinazionali a conquistare tutto il mercato, inglobando le aziende,
spremendole, prendendo incentivi statali senza pericoli di perdite,
ricercando sempre maggiori guadagni delocalizzando verso lidi migliori,
incuranti delle croci lasciate per terra. Ma lo Stato dov'è, o meglio
dov'era quando le prime aziende delocalizzavano, cosa ha fatto per
parare il dramma che stava colpendo una delle più grandi nazioni
industriali, niente. Ascoltare un partito di governo oggi che si sente
vicino ai lavoratori, senza vedere una azione o un progetto finalizzato
alla ricerca di un piano industriale vero a breve e lungo termine,
dovrebbe far capire quanto interesse ha quel partito per i lavoratori. I
sindacati che avrebbe dovuto difendere i lavoratori e contrastato il
potere politico, hanno diversamente appoggiato questo sistema ed oggi
riescono a stento a tenere a bada i lavoratori che rivendicano il
diritto costituzionale del lavoro.
Anche Papa Francesco, nella omelia
domenicale, ha dichiarato che in ogni famiglia ci deve essere un lavoro,
perché senza questo dovere l'uomo perde la dignità umana e inizia un
percorso drammatico nel tunnel della disperazione. Il neo-liberismo
viene considerato da tutti una costola del capitolo globalizzazione,
incredibilmente sottovalutata nella storia contemporanea. Nei libri di
storia, specialmente nei manuali scolastici, la questione è trattata en
passant riferendosi a Ronald Reagan e Margaret Thatcher: i leader
conservatori che ai primi anni ottanta hanno introdotto, in politica
interna, radicali riforme in senso liberista iniziando un percorso di
privatizzazione fotocopiato negli anni 90 dall'Italia. Questa
commistione stato-multinazionale non si è conclusa con la
globalizzazione, ma avrà la sua massima espressione tra qualche anno,
tramite l'accordo segreto Europa-Stati Uniti chiamato semplicemente
TTIP. Ma cos'è questo TTIP? Un enorme programma di smantellamento delle
residue barriere commerciali, giuridiche e politiche tra Stati Uniti,
Europa funzionale alla creazione della più grande area di libero scambio
del pianeta con cui il programma di liberalizzazioni e
deregolamentazioni abbatterà tutti gli ostacoli sul suo cammino: dai
diritti del lavoro alla proprietà intellettuale, dai servizi pubblici
fondamentali fino al diritto alla salute. Si tratta del Transatlantic
Trade and Investment Partnership tra l’Unione europea e gli Stati Uniti,
secondo step del più vicinoTranspacific Partnership che
l’amministrazione Obama intenderebbe concludere prima della fine
dell’anno, escludendo di fatto il Congresso dalle trattative in corso e
accelerando i tavoli a porte chiuse con i Paesi partner (per la
precisione: Giappone, Messico, Canada, Australia, Malesia, Cile,
Singapore, Perù, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei) e gli incontri segreti
con gli oltre 600 rappresentanti delle multinazionali.
I contenuti e i
termini delle trattative in corso sono di fatto inaccessibili agli
organi di informazione e anche ai parlamenti dei Paesi coinvolti, se non
a gran parte degli stessi governi, è precluso un accesso integrale alle
bozze sugli accordi in ballo, come denunciato da Wikileaks (ve lo
ricordate?). Grazie alla tecnica di lasciare nell'ignoranza la
popolazione, il progetto avrà una corsia preferenziale e quando ce ne
accorgeremo sarà troppo tardi; negli anni 90 qualcuno urlava sul
pericolo della globalizzazione, ma nessuno lo ascoltava, oggi qualcuno
urla sul pericolo dell'applicazione del TTIP, ma nessuno lo sta
ascoltando. Ma se abbiamo capito del danno fatto dalla globalizzazione,
perché non credere alle favole sul TTIP? Il partito prende a braccetto
il lavoratore come il boia prende un condannato a morte, tutte e due
vanno verso il patibolo della morte, uccidendo la dignità dell'essere.
Di fronte a scenari come questi si evidenzia tutta la miopia delle
politiche dell’Unione messe in atto con l’austerity, il fiscal compact,
gli accordi come TTIP e TISA, l’eterna melina sul coordinamento delle
politiche degli Stati membri.
Qui tuttavia una strategia chiaramente
perseguita c’è: mettere la finanza pubblica con le spalle al muro: non
per «liberalizzare», ma per privatizzare tutto l’esistente: imprese e
servizi pubblici, beni comuni, territorio, ma anche esistenze
individuali e percorsi di vita; mettere con le spalle al muro il lavoro,
per privarlo di tutti i diritti acquisiti in due secoli di lotta di
classe; instaurare il dominio di una competitività universale: non,
ovviamente, tra pari, ma dove i più forti siano liberi di schiacciare i
più deboli. Credo che possiamo adottare in toto la conclusione di
Rampini su Repubblica: “Già all’inizio del novecento il mondo conobbe
una prima forma di globalizzazione economica senza una adeguata
governance politica: fu travolta da protezionismi, razzismi e ideologie
totalitarie, dalla Grande Depressione e due guerre mondiali. Quando
l’economia corre troppo in avanti e la politica non regge il passo, si
creano le condizioni per contraccolpi brutali”. Saremo pronti?

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