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lunedì 3 novembre 2014

SOLDI PUBBLICI, UN POZZO SENZA FINE? PENSO PROPRIO DI NO.



Ogni giorno si legge di indagini ed arresti per l’uso illecito di fondi pubblici. Dalla Sardegna all’Emilia Romagna, dal Friuli alla Campania.



I soldi pubblici vengono usati dalla politica per permettere appalti favorevoli, per appoggi a amici e parenti, per usi personali ma soprattutto per acquisti che della politica non hanno a che vedere, come cosmetici, palestre.

Gli amministratori all’interno del servizio pubblico, in intesa con una parte marcia della politica hanno gonfiato le fatture ma soprattutto utilizzando i soldi in maniera impropria come se avessero trovato un fondo senza fine, ma purtroppo nella realtà il fondo è stato trovato ed oggi ne stiamo pagando le conseguenze.

Ma chi è il colpevole se non il sistema, se non i soldi dati a pioggia senza un vero controllo da parte dello stato, ma perché dobbiamo aspettare la magistratura che si attivi solo dopo una denuncia e non prima?



Questo problema è a tutti i livelli, stato, regioni, provincie, comuni, al nord come al sud, senza distinzione dell’appartenenza politica sia essa di destra che di sinistra, nessuno sfugge a questo sistema marcio.

Come è possibile che apparati di partiti non riescano a conoscere cosa succede al loro interno, senza denunciarne i fatti? E’ possibile che tutto il sistema partito sia marcio e che nessuno veda cosa sta avvenendo, oppure ormai il sistema si è incancrenito a tal punto che non c’è una via d’uscita?


Forse la paura di far fare una brutta figura al partito, o il sistema si è talmente colluso, che tutti nell’interno della politica hanno degli scheletri negli armadi!

A pagare sono sempre i più piccoli e meno conosciuti dal pubblico, quasi sempre non sono i grandi a pagare; Bossi, Polverini, Matteoli o Formigoni sono i nomi che sono stati bollati nel taccuino dei magistrati, nessuno di loro ha pagato o è stato sospeso fino ad accertamento rimanendo nelle loro poltrone d’oro del parlamento o del senato.



Eppure nei concorsi statali viene richiesta la fedina penale, ma si parla di pesci piccoli.

Ma nonostante questo, il cittadino che dovrebbe condannare l’atto, perché rubando i soldi pubblici ha rubato nelle tasche dei cittadini che hanno pagato le tasse, invece di cambiare rotta continuano a disconoscere chi ha sbagliato continuando a credere in quel partito che ne esce istituzionalmente pulito anche grazie all’informazione latente dei giornali.

Prendiamo il caso Fiorito, si è intascato 1 milione e 400mila euro che dovevano essere nelle casse del partito e qual è la sua massima pena? Andare a parlare nelle TV private e pubbliche per fare la vittima del sistema.

 Ma la modernità del sistema politico si è inventato il project financing, o finanza di progetto, cioè una forma di finanziamento tramite la quale le pubbliche amministrazioni possono ricorrere a capitali privati per la realizzazione di progetti e infrastrutture ad uso della collettività. In altre parole le spese per la realizzazione di un’opera pubblica possono essere sostenute totalmente o parzialmente da privati.

Le pubbliche amministrazioni possono portare a compimento interventi importanti, magari altrimenti non consentiti dalle disponibilità di bilancio. L’investitore privato ottiene, invece, la concessione per lo sfruttamento economico dell’opera realizzata.


Questo nel caso di un’opera definita “calda”, cioè quando l’investimento del promotore viene ripagato dai ricavi di gestione dell’opera, ma il project finance è anche lo strumento per la realizzazione e, solo eventualmente per la gestione, di opere “fredde” o semifredde”. Infatti, la “liberalizzazione” del contributo pubblico permette alle amministrazioni di cedere aree edificabili o potenzialmente edificabili in proprietà al promotore, come contropartita della realizzazione di scuole, parcheggi, impianti sportivi e urbanizzazioni primarie in generale.

Vendita di un terzo del “bene comune” per essere ricambiati con interessi privati.




La politica solo in parte sta rispondendo a questi sprechi con varie leggi, come il Decreto Legge 24 aprile 2014 n. 66 – “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”, tutti atti che vertono verso un risparmio.

Ma fino a quando ci saranno sprechi di abusi della politica, fino a quando la Mafia sarà all’interno della gestione Stato, avremo sempre uno spreco di denaro pubblico, lasciando l’unica possibilità verso l’onestà politica per invertire la rotta, ma all’orizzonte non si percepisce una rotta positiva, perché fino a quando avremo i personaggi coinvolti nello scandalo all’interno del sistema politico, il pozzo continuerà a servirli.

Provare a cambiare sarebbe utile per tutti i cittadini, se capissero l’importanza di questa trasformazione, lobotizzati dalle notizie.


Potremmo cambiare per provar, ma inizialmente anche il nuovo avrà difficoltà per ingranare la marcia del cambiamento, nessuno riuscirà a notarlo, perché troppo a lungo siamo stati gestiti da un sistema formato principalmente dalla corruzione e il tempo di inversione avrà tempi lunghi. 

domenica 2 novembre 2014

Quando la crisi si chiama globalizzazione.

Negli anni 80 la globalizzazione compiva i primi passi, nel progetto finale dovevano scomparire le frontiere permettendo la miscelazione di attività multinazionali. Fu Theodore Lewitt, ad annunciare nel 1983 che “la globalizzazione è a portata di mano” facendo evolvere ulteriormente il concetto di “villaggio globale” teorizzato 15 anni prima da McLuhan. 

Ma a chi giova avere le frontiere aperte e libere, se non alle multinazionali con l'obiettivo di arricchirsi sempre di più, ignorando le macerie che lasciano dietro di loro con la complicità dei governanti. Il muro di Berlino, ultimo baluardo contro il capitalismo, causò con la sua caduta l'apertura della porta alle multinazionali per poter entrare nel mondo capitalistico mondiale. La globalizzazione ha portato le multinazionali a conquistare tutto il mercato, inglobando le aziende, spremendole, prendendo incentivi statali senza pericoli di perdite, ricercando sempre maggiori guadagni delocalizzando verso lidi migliori, incuranti delle croci lasciate per terra. Ma lo Stato dov'è, o meglio dov'era quando le prime aziende delocalizzavano, cosa ha fatto per parare il dramma che stava colpendo una delle più grandi nazioni industriali, niente. Ascoltare un partito di governo oggi che si sente vicino ai lavoratori, senza vedere una azione o un progetto finalizzato alla ricerca di un piano industriale vero a breve e lungo termine, dovrebbe far capire quanto interesse ha quel partito per i lavoratori. I sindacati che avrebbe dovuto difendere i lavoratori e contrastato il potere politico, hanno diversamente appoggiato questo sistema ed oggi riescono a stento a tenere a bada i lavoratori che rivendicano il diritto costituzionale del lavoro. 

 Anche Papa Francesco, nella omelia domenicale, ha dichiarato che in ogni famiglia ci deve essere un lavoro, perché senza questo dovere l'uomo perde la dignità umana e inizia un percorso drammatico nel tunnel della disperazione. Il neo-liberismo viene considerato da tutti una costola del capitolo globalizzazione, incredibilmente sottovalutata nella storia contemporanea. Nei libri di storia, specialmente nei manuali scolastici, la questione è trattata en passant riferendosi a Ronald Reagan e Margaret Thatcher: i leader conservatori che ai primi anni ottanta hanno introdotto, in politica interna, radicali riforme in senso liberista iniziando un percorso di privatizzazione fotocopiato negli anni 90 dall'Italia. Questa commistione stato-multinazionale non si è conclusa con la globalizzazione, ma avrà la sua massima espressione tra qualche anno, tramite l'accordo segreto Europa-Stati Uniti chiamato semplicemente TTIP. Ma cos'è questo TTIP? Un enorme programma di smantellamento delle residue barriere commerciali, giuridiche e politiche tra Stati Uniti, Europa funzionale alla creazione della più grande area di libero scambio del pianeta con cui il programma di liberalizzazioni e deregolamentazioni abbatterà tutti gli ostacoli sul suo cammino: dai diritti del lavoro alla proprietà intellettuale, dai servizi pubblici fondamentali fino al diritto alla salute. Si tratta del Transatlantic Trade and Investment Partnership tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, secondo step del più vicinoTranspacific Partnership che l’amministrazione Obama intenderebbe concludere prima della fine dell’anno, escludendo di fatto il Congresso dalle trattative in corso e accelerando i tavoli a porte chiuse con i Paesi partner (per la precisione: Giappone, Messico, Canada, Australia, Malesia, Cile, Singapore, Perù, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei) e gli incontri segreti con gli oltre 600 rappresentanti delle multinazionali. 

I contenuti e i termini delle trattative in corso sono di fatto inaccessibili agli organi di informazione e anche ai parlamenti dei Paesi coinvolti, se non a gran parte degli stessi governi, è precluso un accesso integrale alle bozze sugli accordi in ballo, come denunciato da Wikileaks (ve lo ricordate?). Grazie alla tecnica di lasciare nell'ignoranza la popolazione, il progetto avrà una corsia preferenziale e quando ce ne accorgeremo sarà troppo tardi; negli anni 90 qualcuno urlava sul pericolo della globalizzazione, ma nessuno lo ascoltava, oggi qualcuno urla sul pericolo dell'applicazione del TTIP, ma nessuno lo sta ascoltando. Ma se abbiamo capito del danno fatto dalla globalizzazione, perché non credere alle favole sul TTIP?  Il partito prende a braccetto il lavoratore come il boia prende un condannato a morte, tutte e due vanno verso il patibolo della morte, uccidendo la dignità dell'essere. Di fronte a scenari come questi si evidenzia tutta la miopia delle politiche dell’Unione messe in atto con l’austerity, il fiscal compact, gli accordi come TTIP e TISA, l’eterna melina sul coordinamento delle politiche degli Stati membri. 

Qui tuttavia una strategia chiaramente perseguita c’è: mettere la finanza pubblica con le spalle al muro: non per «liberalizzare», ma per privatizzare tutto l’esistente: imprese e servizi pubblici, beni comuni, territorio, ma anche esistenze individuali e percorsi di vita; mettere con le spalle al muro il lavoro, per privarlo di tutti i diritti acquisiti in due secoli di lotta di classe; instaurare il dominio di una competitività universale: non, ovviamente, tra pari, ma dove i più forti siano liberi di schiacciare i più deboli. Credo che possiamo adottare in toto la conclusione di Rampini su Repubblica: “Già all’inizio del novecento il mondo conobbe una prima forma di globalizzazione economica senza una adeguata governance politica: fu travolta da protezionismi, razzismi e ideologie totalitarie, dalla Grande Depressione e due guerre mondiali. Quando l’economia corre troppo in avanti e la politica non regge il passo, si creano le condizioni per contraccolpi brutali”. Saremo pronti?

QUANDO I TEMPI ANTICHI DIVENTANO TEMPI MODERNI

Il presente ha sempre il suo periodo chiamato “tempi moderni”, ma erano i primi anni del 900 quando un certo Charlot, generalmente chiamato Charlie Chaplin interpretò un film che evidenziava lo sfruttamento degli operai per la mancanza di lavoro dovuta alla grande depressione degli anni 30.
Il metodo scientifico usato in quel periodo consentiva di sfruttare al massimo gli operai affermandosi in tutto il mondo occidentale grazie alla sua sbalorditiva efficacia produttiva, ma che riduce l'uomo a mera funzione meccanica, ripetitiva, obbligando il proletariato a ritmi produttivi impossibili, estenuanti che portano in breve tempo a dure lotte sindacali e politiche.

Gli operai erano considerati "la prima figura sociale nella storia che non possedesse uno status definito", dal momento che erano connotati dalla mancanza piuttosto che dalla presenza di un mestiere.
Il loro status sociale si distingueva da chi operava nel mondo del lavoro con dei mestieri come i carpentieri, gli armaioli e tanti altri, ma che negli anni che si sono susseguiti sono diventati il perno principale per uno sviluppo economico importante.

Per raggiungere un certo livello, molte lotte sindacali sono avvenute andando a contrapporsi al Capitalismo, coesistendo in associazioni che rivendicavano una vita migliore, salari migliori e iniziando a creare i primi sindacati che lottarono per gli interessi del lavoratore.
È appunto il sindacato, che ancor prima di avere ottenuto un riconoscimento statuale, cominciò a farsi portavoce delle rivendicazioni del lavoro operaio, mettendo piede ovunque sorgessero industrie, mediante forme di rappresentanza, modalità associative e pratiche di tutela tali da attrarre simpatie da parte dei lavoratori e da suscitare preoccupazioni da parte degli industriali.

Grazie a queste lotte sindacali gli operai riescono a sentire il minor peso del lavoro, iniziano a nascere le fabbriche a misura d’uomo, ma la globalizzazione rompe questi schemi, dove il profitto ha il sopravvento sull’uomo, invertendo la tendenza verso i tempi moderni di Charlot.
Ma oltre alla globalizzazione, possiamo vedere un sindacato stanco di lottare, ormai con la pancia piena che non ha più idee per affrontare la nuova crisi industriale.

Di pari passo anche la politica è vuota di idee, non ha il coraggio di affrontare nei tempi giusti la crisi, non porta soluzioni per un ammodernamento del mercato industriale, schiava delle multinazionali che pensano solo al profitto.

Ma sapranno i sindacati e gli operai rialzare la testa alla ricerca di una soluzione, oppure rimarranno schiavi di questo governo che rinnega il posto fisso con fierezza, ma con il portafoglio gonfio riempito dalle tasse dei cittadini, certi di avere un avvenire e incuranti di coloro che a fine mese non riescono ad arrivare.

I tempi moderni sono tornati, quando l’operaio era un robot senza anima, abbiamo raggiunto il vertice del benessere e stiamo precipitando verso il baratro dell’ignoto, dove i diritti conquistati dai sindacati, vengono cancellati grazie a gli stessi sindacati, rei di essere complici di questi partiti diventati i capitalisti della società che si fanno i selfie con i finanzieri.

E’ cambiata anche la classe politica, una volta i fotografi immortalavano un certo Berlinguer vicino agli operai della FIAT, oggi un certo Renzi si fa fotografare accanto al finanziere Serra, l’Italia è cambiata, l’Europa è cambiata, il mondo è cambiato, gli unici che non se ne sono accorti sono i cittadini, ma quando ci sveglieremo da questo sogno e guardiamo la realtà dei fatti.

Oggi ero a manifestare e a portare la solidarietà del M5S verso gli operai della TRW in fabbrica per rivendicare un diritto al lavoro, ad un salario, per una certezza di vita serena, ma domani quante TRW ci saranno?

Quando il sistema ha prodotto il caos

Quando si parla di lavoratori che rischiano di perdere il lavoro, le coscienze delle persone si schierano dalla parte del più debole. In questi giorni abbiamo avuto vertenze che colpivano i lavoratori della TRW e dell'ENI, la prima è stata rinviata alla prossima settimana, mentre la seconda sembra scongiurata la chiusura paventata dall’amministrazione dell'azienda.
Qualcuno vorrebbe paragonare queste due aziende al problema della cooplat, ma vanno fatte delle precisazioni per chiarire alcuni aspetti.

L'ENI è a partecipazione statale, quindi l'azionista di maggioranza è lo Stato, quindi competenza del governo centrale per trovare una soluzione, mentre i governi locali di Livorno e Collesalvetti hanno fatto la loro parte per stimolare lo Stato a risolvere il problema.
La TRW è una azienda di proprietà di una multinazionale americana che ha venduto ad una azienda tedesca, la ZF con l'intenzione iniziale di chiusura, in questo caso l'amministrazione comunale da sola ha fatto delle proposte che saranno vagliate dall'azienda insieme agli ammortizzatori sociali che metterà sul piatto il Governo nella speranza che si trovi una intesa.
Invece la Cooplat è una cooperativa privata che è sul mercato da anni con sede a Firenze, si occupa di diversi servizi e ha al suo attivo 3000 lavoratori.

Il Comune, anzi l'AAMPS, ha bandito una gara di appalto in ottemperanza alle normative europee e statali permettendo alle varie ditte di poter partecipare in libera concorrenza. La questione rimane cosa faranno i lavoratori; nel bando non può essere inserita nessuna clausola che possa generare un contenzioso discriminante delle varie ditte che partecipano al bando, quindi è improponibile inserire delle clausole che obbligano a scegliere il modello di contratto, di obbligare quante persone assumere, tutte norme che sarebbero successivamente vincolate tra le due ditte, quella uscente e quella entrante.
Qualcuno si chiederà cosa avverrà dei lavoratori, sicuramente una buona parte saranno inglobati nella ditta che vincerà l'appalto, mentre chi rimarrà fuori sarà spostato in altri rami della stessa azienda, dato che ha appalti in gran parte della regione, come avviene in tante aziende.
Dobbiamo liberarci dalla logica della lobby che permetteva di far vincere le stesse ditte a discapito di altre che, pur superiori come azienda, non avevano la possibilità di partecipare, eludendo il principio di libera concorrenza per un monopolio di partito.

Il sindacato ha le sue colpe e oggi non sa come rispondere a chi chiede aiuto, la possibilità di ottenere un monopolio, ha facilitato il lavoro di convincimento verso i lavoratori, ma oggi si trovano in difficoltà perché non sono abituati a spiegare le motivazioni che loro stessi hanno prodotto nella liberalizzazione del lavoro pubblico in privato. Che ogni forza politica e sindacale si prendano carico del danno che hanno creato in questi anni, con contratti capestro che obbliga a cambiare gestione, rimpallando i lavoratori come oggetti e non come persone.
Ma la questione non è chiusa, vedremo se ci sono spazi per salvare i lavoratori, perchè sono i primi a pagare una incapacità politica e sindacale.

Quando il cittadino chiama lo Stato risponde….

Dovrebbe essere la normalità per un cittadino che chiama, avere uno Stato che risponde alle esigenze di ognuno di noi. Ma lo Stato è vivo? Credo che nella maggior parte dei casi lo Stato sia vivo e vegeto, nonostante abbia un apparato molto complesso, riesce a risponde spesso alle esigenze giornaliere dei cittadini.

Fare i numeri telefonici del 112 – 113 – 115 – 117 o 118 significa avere una diversificazione del problema che va dal sanitario, alla richiesta di soccorso, dai problemi legati alla delinquenza, fino ai problemi legati alla frode fiscale.

Ognuno ha una esigenza e lo stato, con i suoi impiegati, è sempre pronto a rispondere. Quanti di noi ha avuto bisogno di un intervento per salvare un parente o un amico per un infarto, quanti hanno avuto necessità di un intervento perché gli stava prendendo fuoco l’auto, quanti hanno subito dei furti affinché il cittadino possa chiamare un aiuto e lo Stato risponde a risolverlo…………….
Ma lo Stato non sempre è vivo, c’è una parte che non dà fiducia, dove pur rispondendo al cittadino non riesce a dare nessuna risposta, o meglio copre la verità, evita di dare le risposte, sfugge nel dare pace a chi chiede giustizia.

Un elenco di eventi hanno avuto risposte parziali e insufficienti come Ustica, Bologna, piazza Fontana, Moby Prince oppure singoli casi come Aldrovandi, Lonzi e Cucchi tra i nomi più famosi, ma anche Gabriele Sandri, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Stefano Brunetti e Riccardo Rasman tra i meno conosciuti.

Vedere una madre che piange per il figlio di 18 anni morto per percosse ricevute da presunti poliziotti, trovarsi davanti un muro fatto di omertà, bugie, tentativi di depistaggio, messi in atto da uomini dello stato che dovrebbero, al posto di coprire gli abusi, contribuire all’accertamento della verità, a dare quelle risposte che ogni cittadino vorrebbe.

Queste tragedie non possono limitarsi a singole famiglie, qui si tratta della democrazia, non è più solo un fatto privato, ma deve essere un fatto che coinvolge ogni singolo cittadino.
In questi giorni è arrivata alla ribalta delle notizie la sentenza Cucchi, tutti da destra a sinistra hanno condannato la sentenza chiamandola “VERGOGNOSA”, ma io non voglio condannare nessuno, vorrei sperare che la giustizia sia uguale per tutti, che la verità possa uscire fuori, che i giudici facciano parte di quel sistema Stato che risponde sempre ai cittadini.

Non voglio strumentalizzare la morte come un fatto politico, ma vorrei solo che la giustizia, quindi lo Stato possa fare il suo corso, che possa far pagare coloro che sbagliano, che non nascondano la verità, che possa trasformare l’odio in fiducia nella giustizia consegnando ai cittadini la certezza che quando chiameranno, lo Stato risponderà sicuramente e positivamente, perché lo Stato è fatto dai cittadini………………………………….